Di Federico Rampini, la Repubblica
Aiutati dalla crisi economica e dall’arrivo delle destre al potere, i monopoli tornano alla riscossa. Il segnale più importante per la sua rilevanza mondiale è la rivincita di Microsoft contro il giudice che voleva smembrarla.
Poi c’è America Online che aumenta a piacimento le tariffe d’accesso a Internet. In Italia vanno nella stessa direzione la sconfitta dell’antitrust nella lotta al cartello petrolifero; il rischio di un duopolio elettrico Enel-Edf, dopo che la scalata del monopolista di Stato francese alla Montedison sarà stata «sdoganata» dalla Fiat. Le vicende sono diverse, la tendenza è univoca. E col ritorno dei monopoli riaffiora di colpo una patologia dimenticata, la «stagflazione». È lo scenario di una crescita debole, o addirittura di una recessione, in cui le aziende dominanti riescono comunque a imporre prezzi più alti. Il cittadino subisce al tempo stesso stagnazione dell’economia e inflazione: il peggiore dei mondi.
«Il Ritorno della Bestia» è il titolo che la rivista americana Fortune dedica al caso Microsoft, con Bill Gates in copertina. Una storia di successo davvero emblematica. Nel marzo del 2000, assediata dalla concorrenza, braccata dall’antitrust, la regina mondiale del software crollava in Borsa all’annuncio che il giudice Thomas Penfield Jackson voleva «spezzarla» in due aziende per punirla dei suoi abusi monopolistici. La caduta di Microsoft trascinò con sé un lungo calo del listino tecnologico Nasdaq, in quella che sarebbe stata la prima crisi della New Economy. Ma in realtà il colosso di Richmond Seattle era l’avversario mortale della New Economy. La fioritura di nuovi concorrenti nelle tecnologie avanzate e nell’universo di Internet disturbava Microsoft. Il suo disegno era quello di «blindare» Internet, di farne un universo monoaziendale, di imporre il suo programma Windows (usato dal 90% dei personal computer nel mondo intero) come il casello obbligatorio per circolare sulle autostrade online. Per i colpi bassi usati da Bill Gates contro i concorrenti, il dipartimento di Giustizia sotto l’Amministrazione Clinton l’aveva trascinato in tribunale. Il giudice Jackson aveva dato ragione all’antitrust chiedendo lo smembramento dell’azienda: era una sentenza davvero storica, che faceva il paio con lo smembramento del cartello petrolifero dei Rockefeller all’inizio del Novecento, e con lo «spezzatino» dell’AT&T che nel 1984 dava l’avvio alla liberalizzazione mondiale nei telefoni.
Quindici mesi dopo, il mondo si è rovesciato di nuovo. La corte d’appello, approfittando degli errori di Jackson (colpevole di aver rilasciato alcune interviste critiche su Bill Gates) ha di fatto annullato la sua sentenza. Alla Casa Bianca c’è un’amministrazione Bush decisamente «amica» del Big Business: la possibilità che impugni la sentenza d’appello è remota.
Microsoft aveva fiutato il vento da tempo. Nel lanciare la sua nuova generazione di software, il sistema XP, l’ha concepito e strutturato in modo da catturare sempre di più l’utente dentro l’universo Microsoft. Nella futura convergenza delle tecnologie tra computer, telefono cellulare, tv e Internet, il «casello» Windows di Bill Gates accentua la sua onnipresenza, per prelevare pedaggi ad ogni svincolo.
La crisi della New Economy, lungi dal danneggiarla ha infine aiutato Microsoft. Molti concorrenti più piccoli, più giovani e più innovativi sono falliti, o stanno lottando disperatamente per sopravvivere con l’acqua alla gola. La decimazione delle startup, la grande bonaccia della Silicon Valley, fanno il gioco dei pochi grandi che hanno spalle robuste e capitali abbondanti con cui possono attraversare indenni una recessione. L’altro colosso americano che ne approfitta per costruirsi un semimonopolio è America Online, leader mondiale dell’accesso a Internet. Mentre spariscono i concorrenti che offrivano l’accesso gratis, Aol ha imposto d’autorità ai suoi abbonati un rincaro del 9% del canone.
Difficile ribellarsi, se vengono a mancare le alternative. La stessa prepotenza dilaga tra le compagnie telefoniche americane: la qualità del servizio peggiora, le telecom lesinano agli utenti le linee Dsl necessarie per l’agognato accesso Internet ad alta velocità, ma le tariffe salgono ugualmente. Non è solo il mondo della New Economy e delle tecnologie avanzate a subìre la riscossa dei monopolisti. Lo stesso sta accadendo in ampie zone della Old Economy. Nel trasporto aereo, all’èra della liberalizzazione fa seguito una concentrazione sfrenata in cui poche grande compagnie fanno incetta di rivali: guarda caso, i prezzi dei biglietti aerei tornano a salire.
Tutta la crisi elettrica della California è stato un caso esemplare di sabotaggio della concorrenza. Una deregulation fallita ha consegnato lo Stato più ricco degli Usa ad un oligopolio di produttori elettrici texani: i risultati sono la penuria energetica e le tariffe alle stelle. Questa fase involutiva, in cui la concorrenza regredisce in molti settori, si accompagna non a caso con il ritorno di uno spettro degli anni Settanta. La «stagflazione» si manifestò quando il cartello petrolifero dell’Opec riuscì al tempo stesso a gettare l’Occidente nella recessione, e a fare salire alle stelle il costo della vita. Fu una crisi molto difficile da curare, perché gli strumenti della politica economica (tassi d’interesse e fisco) possono sostenere la crescita, o combattere l’inflazione, ma non riescono a fare le due cose simultaneamente: sarebbe come schiacciare acceleratore e freno.
Oggi per fortuna non siamo nella situazione drammatica degli anni Settanta, e tuttavia le banche centrali già sono in evidente difficoltà. La Bce sta facendo troppo poco per rilanciare la crescita economica europea, perché è ossessionata da un’inflazione che non scende abbastanza. La Federal Reserve di Alan Greenspan ha abbassato moltissimo i tassi d’interesse, ma l’economia americana non riparte ancora e intanto i prezzi salgono. Il ritorno dei monopolisti, dopo il «caos creativo» della New Economy, si accompagna ad un clima pesantissimo per tutta l’economia mondiale.
La lezione interpella i governi. Quello che sta accadendo sotto i nostri occhi è la conferma di un principio fondamentale dell’economia di mercato: la concorrenza non esiste in natura, è il prodotto di un’alta cultura delle regole e di un robusto lavoro del regolatore. Lasciato in balìa dei suoi istinti di profitto, ogni capitalista sogna di rimanere solo in campo. Così come il dirigismo socialista o democristiano ha prodotto monopoli pubblici inefficienti, il capitalismo tende a produrre monopoli e oligopoli privati altrettanto inefficienti (basti pensare ai blackout californiani). La lotta contro i monopolisti è uno dei compiti essenziali di un governo moderno, una delle poche missioni cui la politica non può abdicare, perché la tutela degli interessi del consumatore esige una capacità di rappresentanza generale.
L’arrivo delle destre al governo – negli Stati Uniti come in Italia – si accompagna invece all’idea che basti rimpicciolire lo Stato e dare più libertà d’azione ai privati, per fare ripartire lo sviluppo e generare ricchezza per tutti. Ma la libertà ai privati senza un arbitro che vigili sulle regole del mercato, è la libertà dei grossi di divorare gli altri, di rimanere soli in campo, di distruggere il mercato stesso.
Federico Rampini,
la Repubblica, http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica…
30 giugno 2001