Il sequestro della Procura svizzera. A Milano una dozzina di indagati

Soldi in Russia, Nigeria, Cina, sospetti sulle Olimpiadi di Atene.
Contestato il nuovo «reato transnazionale»

di Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella

MILANO – Si chiamava «Intercom» la cassa italoelvetica delle tangenti Siemens in mezzo mondo. Sede a Bach, in Svizzera, solo sei dipendenti, quasi più nessuna attività reale dall’epoca della separazione da Italtel, in liquidazione da metà 2006. Eppure, guidata da dirigenti italiani e con fondi affiuiti proprio da Siemens Italia nel quadro di fittizi servizi infragruppo, dal 2000 al 2006 «Intercom» ha ricevuto e mosso almeno 120 milioni di euro provenienti dall’Italia e circa 80 dalla Germania, in parte utilizzati per pagare tangenti in mezzo mondo per conto della casa madre teutonica.

Sconosciuti i destinatari finali, di cui allo stato si colgono solo le collocazioni geografiche: come la Russia, la Nigeria, o la Cina persino (secondo fonti elvetiche) nei possibili terminali offshore di rappresentanti di tre Ministeri. Più il capitolo greco, dove il sospetto esplicitato in un precedente provvedimento della Procura di Losanna è che i soldi confluiti sui conti offshore del manager della Siemens greca fino all’aprile 2006, Prodromos Mavridis, siano stati originati dal pagamento di tangenti Siemens per i contratti delle Olimpiadi di Atene 2004.

Ma ha senso ed è davvero realistico inseguire la tangente «globalizzata>? E per di più senza che sinora da questo fiume di soldi spunti un solo rivolo a destinatari italiani? Per provarci, ora la Procura di Milano (che da febbraio ha aperto un fascicolo, del tutto diverso da quello da tempo coltivato a Bolzano su fatti del 1994) tenta di giocare per la prima volta in Italia la carta di un nuovo reato.

Più del numero di indagati (una dozzina di dirigenti di medio livello), infatti, conta che – oltre alle più consuete ipotesi di corruzione internazionale (quella di pubblici ufficiali dell’Unione Europea), riciclaggio, frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita – i pm contestino anche l’inedita aggravante dello «stampo transnazionale» dell’associazione per delinquere, in vigore dal 2006 con la ratifica della Convenzione Onu del 2000: scatta quando il reato «sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato».

L’inchiesta milanese non c’entra con la precedente del 2004 (6 milioni di euro pagati nel 2000-2001 a manager Enelpower per appalti di turbine), costata al colosso tedesco una transazione con Enel da 160 milioni per scongiurare l’interdizione dai contratti con la Pubblica Amministrazione in forza della legge 231. Si nutre, invece, delle nuove notizie che a Milano stanno arrivando sia da Monaco (che da novembre 2006 indaga tangenti Siemens – quantificate nel mondo in oltre 400 milioni); sia dalla Svizzera, che a ruota dei tedeschi si è già mossa con incisività, in particolare sequestrando 50 milioni di euro riferibili proprio all’operatività della mezza italiana «Intercom». E, più di tuttò, si giova del fatto che in febbraio – su impulso della casa madre tedesca scossa poi dalle dimissioni dei vertici e ora intenzionata a far pulizia all’interno del proprio impero (2 miliardi di euro di fatturato in 190 Paesi con 475 mila dipendenti) – la Siemens Italia con l’avvocato Alberto Alessandri abbia segnalato in un dettagliato esposto un gran numero di pagamenti anomali in seno a «Intercom>. E i pm milanesi hanno già incontrato anche altri «inquirenti»: lo staff di «Debevoise & Plimpton», lo studio legale di New York ingaggiato da Siemens Ag per un’altra parallela «indagine indipendente».

Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella
Corriere della Sera
8 maggio 2007

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